Analisi sierologica e tamponi, nella piana del Sele, per 20 profughi di aree a rischio: tutti negativi L’impegno di volontari Caritas, Croce Rossa e Asl. «La regolarizzazione? Ecco cosa occorre fare adesso»
Inviato a Eboli ( Salerno)
Covid e invisibili. Covid e irregolari. Covid e senza dimora. Covid e sfruttati, lavoratori in nero, senza diritti e senza tutele. Anche senza tutele sanitarie. E ancor più sfruttati durante l’epidemia. Ma c’è chi pensa a loro. Una bella squadra pubblica e di volontariato. Ieri a Santa Cecilia di Eboli, piana del Sele, Salerno, per tamponi e analisi sierologica proprio agli ‘invisibili’, sono stati all’opera la Caritas della diocesi di Teggiano-Policastro, la Croce Rossa e la Asl, coordinati dal dottor Lazzaro Lenza, referente dell’unità speciale Covid di Eboli che ha chiesto la collaborazione della Caritas. I volontari sono, infatti, attivi sul questo territorio da anni, prima col Progetto Presidio e ora col Progetto Sipla, e non hanno smesso con l’epidemia, assicurando prevenzione e informazione. E in queste settimane la Caritas è attivissima sul fronte della regolarizzazione, col sostegno dei patronati della Cisl e delle Acli. «Abbiamo già inviato 50 pratiche e altre 150 sono in fase di istruzione. Il 60% riguardano badanti e lavoro domestico, il 40% braccianti », ci spiega Alvaro D’Ambrosio, scout e coordinatore dei progetti Caritas. «Stiamo facendo una campagna informativa – aggiunge – con volantinaggi e messaggi via social a chi è registrato sul database di Presidio».
Lo stesso che è stato utilizzato per avvertire i braccianti invisibili dei controlli Covid, assieme a manifesti in arabo, messi nei negozi maghrebini e anche nella moschea, perché la maggior parte degli immigrati nella Piana del Sele è nordafricana. Si sono ora aggiunti i bulgari, alcuni provenienti da Mondragone, zona rossa per il Covid. E anche questo ha spinto all’iniziativa di ieri, malgrado fino ad ora non ci sia stato nessun caso di contagio tra gli immigrati dell’area. Anche se era girata la fake newsdi un focolaio. E le analisi di ieri lo hanno escluso. Le venti persone che si sono presentate sono risultate tutte negative al test sierologico e nei prossimi giorni si sapranno i risultati dei tamponi. Oggi e domani nuove analisi per altri immigrati che già hanno detto che verranno. Ma il Covid ha, invece, ulteriormente peggiorato la condizione di sfruttamento dei braccianti. «Per risparmiare, gli imprenditori prendono meno lavoratori – denuncia Alvaro – . Così gli occupati in agricoltura sono diminuiti del 20% ma la produzione non può scendere. Così vengono fatti lavorare più ore. Ovviamente in nero o con contratti in grigio». «Lo sfruttamento è lo stesso di prima – ci dice un bracciante –, anzi di più, perché ora dobbiamo lavorare per più ore. Senza mascherine e non rispettando le distanze di sicurezza. E se protestiamo perdiamo il lavoro». Ricordiamo che nella Piana c’è agricoltura intensiva, in serra, la cosiddetta ‘quarta gamma’, i prodotti in busta per la Grande distribuzione e per marchi famosi.
In questa situazione la Caritas si sta attivando con convinzione per la regolarizzazione. «Ma incontriamo molte difficoltà, sia per il contenuto del decreto sia per chi sta approfittando degli immigrati», denuncia l’avvocato Franco Esposito, responsabile dell’area immigrazione della Caritas diocesana. Il primo problema è aver limitato i settori da far emergere ad agricoltura e lavori domestici, «mentre nel nostro territorio molti sono impiegati nella ristorazione e nell’edilizia». E qui emerge un primo ‘trucco’. «Per quanto riguarda le badanti e le altre attività domestiche – spiega l’avvocato – per più del 90% si tratta di rapporti di lavoro veri e di datori di lavoro veri. Ma ci sono anche non pochi casi di imprenditori della ristorazione che stanno regolarizzando i propri dipendenti come domestici. In attesa di qualche modifica della norma». Ma c’è anche di peggio. «In agricoltura ci sono imprenditori che per regolarizzare il contratto hanno chiesto ai lavoratori 3.500 euro. I caporali arrivano a chiederne 5mila. E più si avvicina la scadenza più aumentano la cifra pretesa », accusa il legale. «Ce lo raccontano e noi gli diciamo di non farlo, che è illegale. E che poi ci rimetteranno loro. Ma alcuni ci cascano e pagano. E per paura di perdere il lavoro non denunciano», aggiunge Alvaro. Ci sono poi anche degli avvocati che si fanno pagare per fare pratiche inutili, che non servono per la regolarizzazione. Fanno fare dei pagamenti alle Poste e poi chiedono soldi anche per sé. Ma è anche la norma che provoca problemi. «Un richiedente asilo e con contratto di lavoro non può essere regolarizzato – denuncia l’avvocato –. E lo stesso chi ha una protezione speciale. Dovrebbe essere licenziato ma durante l’emergenza Covid non è possibile. E allora si devono dimettere col rischio poi di non essere riassunti. È veramente assurdo! Chi è in regola è più penalizzato. La norma va assolutamente modificata».